COMUNICATO SULLA SPIRALE DI VIOLENZA IN MEDIO ORIENTE


Le antropologhe e gli antropologi della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA) esprimono grande preoccupazione per la spirale di violenza che sta portando a una ‘normalizzazione’ delle atrocità in atto. È urgente mettere sotto lente critica il modo, tipicamente bellico e propagandistico, di costruire il discorso pubblico da parte dei media, e di denunciare il non rispetto dell’umanità (ancor prima che del diritto umanitario) dei civili e di auspicare la sospensione del tremendo assedio nella Striscia di Gaza.
Dopo il crudele attacco del 7 ottobre in territorio israeliano, mentre si assiste all’escalation di violenza nel Medio Oriente, lo sguardo si sposta di nuovo al ‘fronte’ di guerra ucraina-russo, vedendo per la prima volta in azione da Kiev i missili americani Atacms a lungo raggio. Forse neanche il tempo di capire, che si è scossi dalla immagine di un fuoco, un incendio, un bombardamento: l’ospedale al-Ahli Arabi di Gaza in fiamme dopo un raid. È la sera del 17 ottobre.
La violenza nei confronti degli israeliani è stata rilanciata nei social media attraverso un meccanismo fondato sull’odio e tali rappresentazioni sono state utilizzate dai media ufficiali italiani ed europei come elemento giustificativo della crudele rappresaglia militare.
Nella sua politica estera l’Italia promuove il rispetto del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) ove principio centrale è che i civili non debbono rappresentare un target delle operazioni belliche e che devono essere messi in condizione di ricevere aiuti umanitari (medicine, cure, cibo, ecc.), stabilendo per loro, per gli operatori umanitari e le infrastrutture civili protezioni inequivocabili in tutte le zone di conflitto. Queste norme non sono facoltative e nessuna giustificazione è ammessa per non ottemperare a tali obblighi.
Il 13 ottobre, dopo l’ordine di evacuazione da parte di Israele nei confronti della popolazione di Gaza – prevedendo l’attraversamento di una zona di guerra in poche ore da parte di un milione di persone per spostarsi ai limiti meridionali della Striscia – numerose Agenzie Internazionali hanno dichiarato la inaccettabilità di una tale direttiva: “I trasferimenti forzati di popolazione costituiscono un crimine contro l’umanità e la punizione collettiva è vietata dal diritto internazionale umanitario”, ha affermato Paula Gaviria Betancur, inviata speciale delle Nazioni Unite, aggiungendo che “Il sistema umanitario a Gaza è già al punto di rottura. Le infrastrutture di Gaza sono state devastate da bombardamenti indiscriminati provenienti dall’aria, dalla terra e dal mare, e
gli sfollati attualmente non hanno nessun posto dove andare”. Queste le parole dell’International Rescue Committee: “La comunità internazionale non deve normalizzare gli attacchi contro civili e obiettivi civili.
Chiediamo un processo diplomatico urgente per garantire l’adesione di tutte le parti a questi obblighi fondamentali – per la protezione delle popolazioni civili a Gaza e in Israele e per fermare il disfacimento di norme e regole che proteggono i civili ovunque. Fare un passo indietro rispetto a questi obblighi e chiudere un
occhio sugli attacchi ai civili e alle infrastrutture civili normalizzerà ciò che è anormale e ripugnante”.
L’altro aspetto centrale, oscurato nel dibattito pubblico, riguarda ancora una volta la memoria: la rimozione della lunga storia di occupazione, sopraffazione e colonizzazione, che dà spessore a questo atroce presente,appare tra i più sofisticati dispositivi di violenza che noi, italiani ed europei, stiamo mettendo in atto.
Una prigione a cielo aperto, quella di Gaza, dove in 365 kq vivono 2,1 milioni di persone, per la maggior parte rifugiati palestinesi protagonisti (loro o i propri discendenti) della Nakba, letteralmente tradotto con “catastrofe”: l’esodo forzato dopo la fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Dal 2001 la Striscia di Gaza è chiusa da una recinzione con valichi i cui accessi – così come lo spazio aereo e le acque territoriali – sono sotto il controllo di Israele. “Chi vive a Gaza si descrive come in una morte lenta”, ha affermato la collega Ruba Salih su Left. Una morte che in questi giorni occupa incessantemente le strade, gli edifici, le migliaia di corpi delle vittime.

Tra Rita e i miei occhi un fucile […]
Rita, prima di questo fucile,
cosa avrebbe potuto distogliere i miei occhi dai tuoi?
Se non il sonno ristoratore e due nuvole di miele? […]
La città spazzò via tutti i bardi e anche Rita.
Mahmud Darwish

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