L’ORCHIDEA E LA PRIMULA

Laureato in Antropologia alla Sapienza di Roma nel 2003, mi sono occupato di ricerca demoetnoantropologica con un particolare interesse per le tematiche dell’Antropologia del Paesaggio e del Corpo cercando di dare prevalentemente spazio al metodo della ricerca sul campo e della Visual Anthropology attraverso interviste e produzione di materiale visuale. Sono stato socio fondatore dell'ARSDEA, associazione di ricerca e studi demoetnoantropologici. In tutte le mie ricerche ho sempre usato la macchina fotografica perché convinto che le immagini hanno la forza di raccontare la complessità del reale spesso più delle parole. Le fotografie sono contenitori semantici, strutture dense di significato. Sono vincitore di una borsa di studio presso il Centro Romano di Fotografia e Cinema di Roma. Alcuni miei progetti sono stati pubblicati in riviste specializzate nazionali ed internazionali, hanno partecipato a mostre collettive e personali in Italia e all'estero e sono stati selezionati per premi e call importanti come Urbanautica Istitute, Grenze Arsenali Fotografici, Yogurt Magazine, Fiaf ecc. Con Nahid Rezashateri, fotografa iraniana, nel 2018 ho fondato il collettivo SARAB che si occupa di progetti fotografici, con una particolare attenzione ai temi dell'identità, della memoria e del paesaggio come processo culturale. Come Etichetta indipendente ci occupiamo anche di servzi editoriali per zine e photobook e gestiamo SARAB MAGAZINE, uno spazio di condivisione per progetti di altri autori. SITO WEB: www.sarabcollective@gmail.com

Lo spazio che occupiamo è uno stato mentale dove ogni fenomeno, compresa la percezione di noi e della nostra identità, è un prodotto storico, mutante nel tempo, comunicante infiniti e metamorfici significati. La quarantena innesca modalità del vivere che, nonostante l’obbligata staticità, aprono all’esperienza del mutevole. I giorni uguali agli altri, sospesi e monolitici, la realtà che si fa indecifrabile, la perdita di sicurezza, tutto concorre a farci sentire sulla pelle quanto ogni cosa, nonostante i nostri sforzi, sia incontrollabile e mutevole. Abbiamo imparato che anche un virus può diventare variabile e con esso le nostre paure e visioni distopiche. Abbiamo imparato che qualcosa di invisibile e infinitamente piccolo può fermare il mondo e quanto tutto sia connesso.

Ho pensato a come questa condizione mentale durante la quarantena Covid 19 si sia innescata paradossalmente a causa di qualcosa di estremamente intangibile, invisibile, dalla forma seducente: una sfera, un piccolo pianeta grigio da cui si innalzano alberelli dalla chioma rossa. Le forme e le rappresentazioni dei virus hanno sempre qualcosa di attraente. Il virus conserva e protegge il proprio materiale genetico nel capside che può variare in dimensioni e complessità della struttura, poliedri che devono garantire efficienza e stabilità. Strutture geometriche complesse visibili all’occhio umano solo attraverso l’uso del microscopio elettronico.

Abbiamo imparato quanto a causa di una Pandemia le dimensioni del micro e del macro siano così drammaticamente collegate, quanto il battito d’ali di una farfalla o il contatto con un’ entità biologica invisibile possano cambiare drasticamente le nostre vite e la nostra percezione.

Non siamo soli.

Non siamo che una parte di qualcosa la cui meraviglia e complessità ancora ci sfugge.

L’Orchidea e la Primula è un diario personale della quarantena, l’esigenza di narrare per immagini emozioni e riflessioni nate durante il lockdown, un bisogno istintivo di fissare in fotogrammi l’esperienza del mutevole, le dimensioni del tempo, dello spazio ed il forte senso di connessione.

”Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi?”
G. Bateson